TEATRO
INDICE
-Laurino e il suo teatro -Belvedere degli ulivi: La notte ri la Janara -Uocchi e maluocchi -La Janara -Sciaravettula, la mahara -MUSICA: Canto cilentano "alla longa", audio -Tarantella cilentana, audio e video -La terra del rimorso di E. De Martino, audioe video -La quadriglia cilentana, audio e video -Serenata -La banda -B. Gigli: Serenata, audio -E. Caruso: Musica proibita, audio -B. Gigli Tristesse di F. Chopin. audio -L. van Beethoven: Al chiaro di luna, audio -F. Chopin. Notturno, audio-M.Ravel: Bolero dir. A. Toscanini, audio -M. Ravel: Bolero, balletto R. Petit, audio -Jazz in Laurino -Jazz in Laurino: Stefano Bollani, audio -Jazz in Laurino: Paolo Fresu, audio -Jazz in Laurino: Mario Biondi, audio -Jazz in Laurino: Bill Cobham, audio __________________________________________________________________________________________________________________________________
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-- Una musica mai sentita: il jazz, 4 audio - George Gershwin: quando la classica incontrò il jazz - Il curioso rifugio antiaereo di Laurino- Tammurriata nera, Paisa', audio - Mò vene Natale, Renato Carosone, audio -Quannu nascette Ninnu, audio -Adeste Fideles, audio -La Cantata dei pastori di Peppe Barra -La leggenda del lupino di Concetta Barra -Dedicato a Maria Nicoletti: poesie -Vestiario, poesia di Wislawa Szimborska - Laurino, poesia di Angela Furcas -Un poeta-pastore |
Laurino e il suo teatro
Il nuovo e l'antico luogo teatrale di Laurino segnano una vicenda culturale che dura da quasi tre secoli. Perché se la data ufficiale scritta sul fregio del vecchio palcoscenico indicava il 1795, la tradizione rimanda quantomeno a mezzo secolo prima. E precisamente alla pubblicazione intorno al 1750, della Fortezza trionfante di Niccolò Politi, L'Opera ri Santa Lena. Da quel momento, infatti, si rese necessario trovare il luogo adatto alla rappresentazione del dramma della vita di S. Elena. E' presumibile che le prime volte gli spettacoli avvenissero direttamente in chiesa, ma diavoli e Scatozza mal si adattavano ad un ambiente sacro, a parte le difficoltà sceniche. La soluzione venne trovata quando si rese libera l'antica chiesa del Convento di S. Agostino fondato nel 1315 dal grande Tommaso Sanseverino già fondatore nel 1306 della Certosa di Padula. Il convento era stato già soppresso e la chiesa sconsacrata nel 1652 da papa Innocenzo X, ma ancora nel 1727 i locali erano stati adibiti dal vescovo Odoardi a Seminario estivo della Diocesi che dal 1586 aveva sede a Diano (Teggiano). Rettore ne era Perseo Santoro. La cosa dovette durar poco e dunque via libera, nel 1795 appunto, alla sala teatrale attrezzata con grande palcoscenico, fossa per Asmodeo e "riavulieddi", cavea per l'orchestra, quinte e camerino nella ex sacrestia. Le sedie, beh quelle ognuno se le portava da casa. Nel frattempo, il monastero per la parte non trasferita alle monache di clausura di Santo Spirito, rapidamente si ridusse a rudere. Il seguito è storia di oggi con la costruzione del nuovo, bellissimo teatro inaugurato nel 2007. Ma come sempre la passione teatrale pur supportata dalla secolare tradizione deve fare i conti con i bilanci. E così dopo quattro intense stagioni dirette dalla bravissima attrice laurinese Almerica Schiavo con la presenza delle migliori compagnie del panorama nazionale, inevitabile la crisi. Cosa fare? |
La risposta è difficile e complessa. Un utilizzo minimale della struttura fa ancora appello alla tradizione e alla passione teatrale dei laurinesi: il teatro dovrebbe diventare la casa della Filodrammatica laurinese e della Banda musicale. A Laurino ci sono bravi attori e bravi musicisti. Basta scorrere queste pagine per averne la prova. Cinque spettacoli all'anno e cinque concerti sarebbero altrettanti eventi culturali. Il problema di valorizzare il teatro interpella tutti noi laurinesi dentro e fuori il paese.
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14 Agosto 2013, ore 22
BELVEDERE DEGLI ULIVI
14 Agosto 2013, ore 22
BELVEDERE DEGLI ULIVI
...il 14 Agosto era luna piena, una luce magica e malata si mangiava le pietre delle rupi bianche come ossa spolpare...era La notte ri la Janara ...L'avite sentuta, l'avite sentuta, è jedda è jedda, è 'ncoppa a Monte Cavallu, staje scennennu a caccia ri criature stanotte, sente l'addore ri lu sangu, ha sguinzagliatu li lupi mannari. Stative accorte mamme, stanotte è l'ora ri la luna storta, è l'ora ri la Janara. La sintite, la sintite 'sta vibrazione inta l'aria ca face attassà lu sangu inta li bbéne? 'stanotte è l'ora toa Jana', ma nun ci fai paura, nun ci fai paura picchè tinimu ccù nnui l'incantesimu putente ri la puisìja, tunimu la putenza ri la musica, è ccù nnui zi' Carmena Sciaravettula ca sape li pparole juste. T'aspittamu Jana', t'aspittamu!... |
Libera Associazione Culturale "Laurino nel Cuore - Comune di Laurino
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UOCCHI E MALUOCCHI Uocchi e maluocchi, furticiddu a l'uocchi, pozza scatta' chi t'ha pigliatu aruocchi, crepa la 'nmiria, scattangelli l'uocchi. San Giuseppe ti resse la manu Santu Cosimu e Dammianu, Santa Sufia e Santu Tiroru lu maluocchiu cacciatilu fore! _____________________________________________________________ LA JANARA La Janara è propriamente la strega, donna ritenuta capace di malefizi diabolici contro gli umani, soprattutto bambini, ma anche esperta di intrugli medicinali ricavati dalle erbe. Il nome deriva dalla sua capacità di farsi vento e passare sotto la fessura della porta (janua in latino) o forse dalla dea greca Diana (djanara). Nella cultura longobarda leggendarie erano le janare di Benevento che si riunivano sotto il grande noce nella notte del Sabba. Contro di loro servivano i più svariati amuleti e l'intervento delle mahare, le fattucchiere con formule magiche, giaculatorie apotropaiche e terribili decotti. Famosa era zi' Carmena Sciaravettula, ultima mahara degli anni '50 del'900. Nel 1597 Angela Russo, detta Angiulella, fu cacciata a furor di popolo da Laurino perché ritenuta janara.
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PASSA E RIPASSA Passa e ripassa puozzi passa' muortu, puozzi perde lu nnìuru ri l'uocchi e lu gghiancu nu' lu puozzi ascia'. SCENDA CUME SCENDAU... Scenda cume scindau lu jumu Jurdanu a la passata ri Jesu Nazzarenu. Sottu a l'acqua e sottu li salimienti ca ti pozza passa' lu cigliu ri ventre. |
Sciaravettula, la mahara
B. Durante Sciaravettula era il soprannome di una zia di mio padre, Carmela Durante. Zi’ Carmena Sciaravettula. Era sorella di “Arioppa”, mio nonno, il mitico fotografo di Laurino. Il soprannome sciaravettula, forse corruzione di sciarra(scaccia)ciuvettula o ciucciuvettula, civetta, le era stato affibbiato per il fatto che, all’epoca, intorno al 1950, era ritenuta l’ultima fattucchiera di Laurino. Insomma come la civetta aveva a che fare col malocchio. Una mahara, per l’appunto. Era di una bruttezza impressionante. La si può “ammirare” nella fotografia pubblicata qui sopra. Col fratello Arioppa aveva tentato di emigrare in America, ma era stata respinta perché affetta da glaucoma. Malgrado ciò sembra che si sia anche sposata, non so con chi. Il malcapitato la lasciò subito vedova, chissà se fatto fuori da un suo incantesimo o intruglio. Sciaravettula era depositaria di tutta la cultura magico-scaramantica contadina. Toglieva e gettava il malocchio, faceva cataplasmi contro ogni sorta di malanni, ordiva fatture e controfatture d’amore e forse anche di morte, prevedeva il futuro. Insomma ‘ncarmava. Va ricordato che ‘ncarmare=fascinare, affatturare viene dal francese charmer che a sua volta deriva dal latino carmen=verso poetico, dove si dimostra che la poesia è insieme magia e incantamento, e che il poeta è anche un po’ stregone. La catapecchia di Sciaravettula era sotto la fontana, accanto alla casa del “capobanda”. Si trattava di un antro con un grande telaio su cui erano appollaiate vecchie galline spennate e gatti neri spelacchiati che avevano coperto il pavimento di uno spesso tappeto di escrementi. Aveva sempre sul treppete ‘na cauraredda nella quale preparava i suoi micidiali decotti. |
Finchè fu viva, la mia fanciullezza trascorse nel terrore di ammalarmi e di essere perciò sottoposto alle “cure” di Sciaravettula. Mia madre, infatti, Celestina, cumma' Cistina, quando un normale mal di pancia, di testa o di gola non accennava a passare, mi portava da mia zia la fattucchiera.
Ricordo che pur di andarmene al più presto possibile, dopo le prime formule magiche e il tocco delle sue mani luride dagli artigli adunchi, mi dichiaravo subito guarito. Scappavo dalla casa della strega come una lepre, prova inequivocabile che il malocchio era tolto. Non c’era neanche bisogno di farmi l’uocchiu. Sciaravettula era l’ultima rappresentante della medicina alternativa contadina. Il rituale magico, malgrado la presenza in paese di medici validissimi, resisteva nell’immaginario collettivo popolare come unico antidoto ai mali dell’anima e alla fascinazione di forze avverse e misteriose. La fattucchiera, come lo stregone o lo sciamano, aveva il potere di ristabilire un equilibrio psichico turbato, di risolvere una crisi esistenziale e come ha scritto Ernesto De Martino, di rassicurare il “paziente” della sua presenza e del suo ruolo nella comunità paesana. Passa e ripassa, puozzi passà muortu, puozzi perde li nniuru ri l’uocchi e lu gghiancu nu’ lu puozzi ascia’, era una sua formula di fattura a morte. Contro il mal di pancia, invece, era pronta: Scenda male, cume scendau lu jumo Jurdanu a la passata ri Jesu Nazzarenu, sottu a l’acqua e ‘ncoppa li salimienti ca ti pozza passa’ lu cigliu ri ventre. Se alle puerpere mancava il latte per aver subìto una fattura, poco male: Cala, cala lattu, ‘nu sicchiu e ‘nu piattu, ‘nu sicchiu e ‘nu catinu, cala cala Santu Martinu. Per una fattura d’amore, infine Sangu ri Cristu, rimoniu, attaccame a chistu, tantu ca l’à lega’, ca ri me nun s’adda’ scurda’. Tutte le formule andavano ripetute tre volte, bisognava bere qualche ciofeca e per quelle d’amore bisognava portare del sangue mestruale. Campò fino a 92 anni. Su di lei gli scongiuri fecero effetto. |
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L'antica magia teatrale che possiede i laurinesi si perpetua negli anni e non si spegnerà mai finche ci saranno ragazzi meravigliosi come questi e perché no? vecchietti che, malgrado gli scricchiolii, non sanno resistere alla fascinazione della puisija e ri la musica. Grazie uagliu' per averci donato una serata indimenticabile in madrelingua, in questo scenario fantasmagorico di rupi e ulivi.
Bruno Durante
L'antica magia teatrale che possiede i laurinesi si perpetua negli anni e non si spegnerà mai finche ci saranno ragazzi meravigliosi come questi e perché no? vecchietti che, malgrado gli scricchiolii, non sanno resistere alla fascinazione della puisija e ri la musica. Grazie uagliu' per averci donato una serata indimenticabile in madrelingua, in questo scenario fantasmagorico di rupi e ulivi.
Bruno Durante
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MUSICA
MUSICA
CANTO ALLA CILENTANA
Canto "a distesa" o "alla longa" Il pastore di Novi Velia zi' Pietru Crocamo è uno dei pochi che riesca ancora a cantare "alla longa" con la gestualità antica. Testimonianza assolutamente eccezionale di una tecnica che affonda nella notte dei tempi è l'atto di coprirsi l'orecchio con la mano. Il gesto non fa parte di una teatralità esteriore, ma "serve" a sentire meglio la propria voce dentro di sé nel momento che viene emessa ed è riscontrabile nel canto popolare tradizionale dell'intero Meridione. In un altro pezzo di questo stesso filmato viene ripetuto anche nell'esecuzione del carrettiere siciliano. ______________________________________________________________________________________________________________________________________
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Il Canto alla cilentana tradizionale affonda le sue radici nelle antiche culture mediterranee, soprattutto quella greca. Con varianti tipiche è condiviso da tutte le popolazioni dell'Appenino interno, dall'Abruzzo alla Calabria, accomunate dalla impronta etnica sannito-lucana.
La sua caratteristica melodica più spettacolare è quella del "Canto a distesa" dove la fine del verso non viene più cantata, ma si allunga e si perde in una serie di modulazioni foniche lacerate, mielismi prolungati acuti e strazianti. Il canto ritmava la vita comunitaria in tutte le sue manifestazioni festose o ludiche con la sola voce o più spesso con accompagnamento degli strumenti tipici delle culture arcaiche agro-pastorali: ' u friscarieddu, lo zufolo di canna a diversi fori e lunghezza, la ciaramella, la zampogna, la chitarra battente, la nacchera per il ritmo e, più tardi l'organetto, il triangolo, lo scubidù, lo scetavaiasse, ecc. Il canto poteva assumere anche una connotazione minacciosa quando il cantore, nottetempo, al buio, intabarrato nel suo nero mantello, intonava sotto le finestre del nemico o rivale strofe di sfida o di vendetta o addirittura minaccia di morte. Persino il duca di Laurino, forse Giuseppe Spinelli "fu cantato" a morte da uno sconosciuto e nei giorni successivi scampò ad una palla sparata, narra la leggenda, addirittura da Monte Cavallo. Malgrado un interessante recupero nel resto del Cilento, il Canto alla cilentana, a Laurino si è perso con gli ultimi cantori e suonatori alla fine degli anni '50. Lucente e A.M. Miele furono gli epigoni di un mondo che finiva. |
TARANTELLA CILENTANA
Quella cilentana fa parte della grande famiglia delle tarantelle meridionali, strettamente imparentata con la lucana. Può essere ballata a coppia mista oppure donna/donna, uomo/uomo o singolarmente. Ciò esclude, secondo gli studiosi, che la sua origine possa tradursi esclusivamente in un rituale erotico. Il nome dovrebbe derivare dalla Taranta, il ragno velenoso (Lycosa tarentula) al cui morso la credenza popolare attribuiva la possessione soprattutto delle donne (in realtà colpite da sintomi isterici, epilettici o psichici) che potevano essere guarite attraverso l' azione terapeutica esercitata dal ritmo frenetico della danza. Tale funzione, più comune, in verità, in Lucania e soprattutto in Puglia, era del tutto assente in Cilento dove ha sempre prevalso l'aspetto ludico e di corteggiamento con gestualità esplicitamente allusiva. Oggi il repertorio dei passi e dei gesti del corpo si è molto impoverito restando patrimonio solo di pochi anziani. La tradizionale tarantella era accompagnata da ciaramella, zampogna, chitarra battente e nacchera, strumenti sostituiti ora prevalentemente dall'organetto e dal tamburello. Sull'onda del successo della Taranta salentina, la tarantella sta conoscendo una nuova vita nelle feste collettive e di piazza pur deprivata del suo apparato e significato coreutico. |
C'è tutto: ciaramella, zampogna, organetto, ritmo. E poi c'è Lei in costume tradizionale, straordinaria maestra di ballo e di cultura. E lui il ragazzo che perpetua una gestualità coreutica arcana e magica.
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LA TERRA DEL RIMORSO: Ernesto De Martino e la Taranta
L'eccezionale documentario girato dal grande etnologo Ernesto De Martino nel 1959 a Galatina, costituisce una testimonianza unica di quel mondo arcaico ancora intriso di cultura magico-simbolica in cui la crisi esistenziale degli uomini, ma soprattutto della donna, poteva essere affrontata con gli strumenti terapeutici della musica.
L'eccezionale documentario girato dal grande etnologo Ernesto De Martino nel 1959 a Galatina, costituisce una testimonianza unica di quel mondo arcaico ancora intriso di cultura magico-simbolica in cui la crisi esistenziale degli uomini, ma soprattutto della donna, poteva essere affrontata con gli strumenti terapeutici della musica.
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QUADRIGLIA CILENTANA
Ogni festa da ballo a Laurino finiva in quadriglia. Donne e uomini, anziani e giovani conoscevano a perfezione le figure e i comandi che venivano impartiti in
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francese dal "Direttore di quadriglia" come volevano le regole. La danza era stata, infatti, importata dalla Francia già dal XVII secolo. Come per la tarantella, nella feste di piazza si assiste oggi ad un revival della quadriglia che conserva intatto il suo fascino di ballo collettivo molto coreografico. Ma vuoi perché i direttori non sono quelli di una volta, vuoi perché non conoscono più i comandi o i ballerini le figure,tutto si risolve in una grande "ammuìna". Il divertimento è comunque assicurato.
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SERENATA
La serenata era il modo più romantico e praticato per dichiarare il proprio amore ad una ragazza. Le notti laurinesi risuonavano delle più belle melodie napoletane classiche e delle più note romanze. Chitarra e mandolino o un vero e proprio "concertino" di più suonatori accompagnavano con la musica il canto d'amore. Quasi mai però il balcone si apriva per non compromettere la reputazione della "zoria" col "vicinanzu" almeno fino a quando un vero e proprio fidanzamento ufficiale non fosse stipulato. La serenata agli sposi novelli poi faceva parte del rituale matrimoniale. Gli amici organizzavano la spedizione musicale e a mezzanotte e oltre si presentavano sotto il balcone. Gli sposi si affacciavano e dopo la serenata accoglievano in casa i musicanti per una tavolata con la tradizionale "fellata" di prosciutto, caciocavallo e vino già preparata dai genitori dello sposo. Famosi cantori di serenate erano Enrico Gigantiello "Baroncino" e Alfredo Di Motta. _______________________________________________________________
LA BANDA I laurinesi cantano e ballano da sempre e naturalmente suonano: in passato canti e balli tradizionali con gli strumenti di allora. Adesso ancora e sempre con la loro amata banda che resta una istituzione del paese e fabbrica potente di cultura musicale sin dalla fine dell' '800. Fu fondata, nell'ambito della Società Operaia, da quel grande pedagogo, don Giovanni Pesce, un prete intriso di pensiero sociale cattolico. Ha superato ormai abbondantemente e con onore il secolo. Merito ai tanti maestri e musicanti del passato e all' attuale direttore Petraglia che ha forgiato un complesso musicale al passo con i tempi oltre ad educare con passione i bambini alla magia della musica. C'è da dire che la nostra banda ha un organico a fisarmonica. In inverno si riduce al minimo essenziale. In estate tornano i musicanti "emigrati" in Italia e all'estero e la prima cosa che portano in valigia è lo strumento per riprendere il loro posto nei concerti sotto il seggio e nelle marce per il paese. Straordinario! Diciamo la verità senza la banda che alla festa di S. Lena, ci sveglia di buon mattino assieme ai botti, i "colpi scuri" o che la sera concerta nel "sieggiu", le nostre estati laurinesi non sarebbero vere estati. Ci piace solo ricordare, attingendo alla nostra personale memoria, che la "Città di Laurino" faceva tournée in quasi tutta la regione e oltre. E che nel suo repertorio, oltre alle opere più famose del melodramma, aveva "I pini di Roma" di Ottorino Respighi e addirittura il "Bolero" di Maurice Ravel. Per dire la modernità. |
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SOTTO:BANDA MUSICALE NEL 1929 IN GRANDE UNIFORME, OSEREMMO DIRE QUASI ASBURGICA.
Al centro è il maestro Casiello, alla destra Enrico Schiavo, mitico "capobanda", regista, attore e, a tempo perso, di mestiere, "ferraciucci. Zi' Arricucciu, senza avere alcuna scuola alle spalle, fu straordinario "maestro di musica" per almeno due generazioni di giovani. (Foto da Zadalampe) |
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JAZZ IN LAURINO |
Jazz in Laurino è nata per merito di un gruppo di giovani e valenti musicisti laurinesi dell' associazione "Liberi suoni". Oggi alla svolta della XI edizione, è diventato uno degli eventi musicali più importanti dell'intera Campania con notorietà che si estende a tutta Italia. Nelle 11 edizioni svolte ha ospitato i più famosi jazzisti di fama nazionale e internazionale. Anima organizzativa di Jazz in Laurino è Angelo Maffia. |
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Il festival del jazz ha avuto il merito enorme di aver portato i più grandi musicisti a Laurino e di aver fatto conoscere Laurino in Italia e nel mondo. Il ritorno in termini culturali e turistici è straordinario. Ma i laurinesi, fra tante doti, sono anche sulfurei e linguacciuti. Nel viale dei passi perduti, fra la rotonda e il muraglione, critiche a schiove e maldicenze si sprecano.
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Una musica mai sentita: il Jazz
A Laurino non avevamo mai sentito neanche la parola. Jazz, fino a quando nel 1956 non arrivò la TV, era per noi paesanotti solo il recinto delle pecore con a fianco il pagliaio del pastore. E le canzoni erano solo quelle di Luciano Tajoli, Nilla Pizzi e Claudio Villa che ascoltavamo al Festival di Sanremo in religioso silenzio, alla radio, assieme ai vicini. Ma quando il bar Filizzola, nei locali dell'attuale Posta mise il televisore con tante file di sedie per gli spettatori, si aprì un universo sconosciuto. Entrammo nella modernità e sentimmo, fra un Mike Buongiorno e il telegiornale, una musica mai sentita prima: amelodica ma trascinante, aspra e virtuosistica, libera come l'aria, anarchica. Suonata e cantata soprattutto da neri che facevano con la voce e gli strumenti quello che volevano, al di fuori e al di sopra del pentagramma e della melassa sentimentale imperante. Conoscemmo allora Ella Fitzgerald, una donna dal corpo immenso e dalla voce d'angelo e Louis Armstrong che cavava dalla tromba acuti ed effetti inenarrabili. E torceva la sua voce rauca e rasposa lungo sentieri mai esplorati. Due leggende della musica. Diciamolo pure fu uno shock che le prime volte, lì nel bar Filizzola, suscitò muggiti di disapprovazione e risate di scherno. Chi l'avrebbe mai detto che 60 anni dopo ci sarebbe stato JAZZ in LAURINO. |
GEORGE GERSHWIN:
QUANDO LA MUSICA CLASSICA INCONTRO' IL JAZZ Summertime è la canzone più celebre di Porgy and Bess (1935) l'opera di Gershwin considerato il più grande compositore americano del XX secolo. L'avevano precedute le altrettanto famose Rapsody in blue (1924) e Un americano a Parigi (1928). |
La musica di Gershwin rappresenta una geniale contaminazione di musica classica e musica popolare, soprattutto di matrice jazz. Le sue arie, utilizzate in decine di film, furono i pezzi forti di Ella Fitzgerald, Louis Armstrong e della grande soprano Leontyne Price.
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Il curioso rifugio antiaereo di Laurino-Tammurriata nera-Paisa'
Dietro Magliano di colpo diventò l'inferno. Nugoli di bombardieri in formazione sganciarono migliaia di bombe sulle postazioni tedesche che tentavano di ricacciare gli americani in mare. I colpi della contraerea illuminavano il cielo come fuochi d'artificio, ma non era una festa. Fra il 14 e il 15 Settembre del 1943 lo sbarco dell'armata alleata nella piana di Paestum nella notte del 9 dava una svolta alla guerra con il suo carico di drammi e morte. Entro qualche giorno sarebbe stata liberata Napoli ma per intanto era fra il Sele e Salerno che si consumava la carneficina. Poi avrebbe risalito la penisola, Montecassino, Roma, il Nord. A raccontare la tragedia ci avrebbero pensato Curzio Malaparte con La pelle, Alberto Moravia con La ciociara, il cinema neorealista di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica con tanti capolavori: Roma, città aperta, Paisa', Sciuscià e altri. A Napoli, piagata dalla fame, riuscivano a condensare il degrado della miseria dell'immediato dopoguerra in una tragica e bellissima Tammurriata nera.
A Laurino quel 14 e 15 Settembre molti erano restati affascinati a guardare lo spettacolo della tragedia che si consumava dietro Magliano. Poi qualcuno allarmò la gente su possibili bombardamenti al paese. La foto sbiadita, sotto a sinistra mostra l'improvvisato rifugio antiaereo che si organizzò nella grotta di don Scipione Marotta, si proprio quella dell'attuale Belvedere degli ulivi. Corsero tutti là, le madri con le vocule in testa, e naturalmente arrivò Arioppa col suo treppiedi ad immortalare l'evento.
Il filmato di Tammurriata nera è tratto da Paisa' di R. Rossellini.
Dietro Magliano di colpo diventò l'inferno. Nugoli di bombardieri in formazione sganciarono migliaia di bombe sulle postazioni tedesche che tentavano di ricacciare gli americani in mare. I colpi della contraerea illuminavano il cielo come fuochi d'artificio, ma non era una festa. Fra il 14 e il 15 Settembre del 1943 lo sbarco dell'armata alleata nella piana di Paestum nella notte del 9 dava una svolta alla guerra con il suo carico di drammi e morte. Entro qualche giorno sarebbe stata liberata Napoli ma per intanto era fra il Sele e Salerno che si consumava la carneficina. Poi avrebbe risalito la penisola, Montecassino, Roma, il Nord. A raccontare la tragedia ci avrebbero pensato Curzio Malaparte con La pelle, Alberto Moravia con La ciociara, il cinema neorealista di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica con tanti capolavori: Roma, città aperta, Paisa', Sciuscià e altri. A Napoli, piagata dalla fame, riuscivano a condensare il degrado della miseria dell'immediato dopoguerra in una tragica e bellissima Tammurriata nera.
A Laurino quel 14 e 15 Settembre molti erano restati affascinati a guardare lo spettacolo della tragedia che si consumava dietro Magliano. Poi qualcuno allarmò la gente su possibili bombardamenti al paese. La foto sbiadita, sotto a sinistra mostra l'improvvisato rifugio antiaereo che si organizzò nella grotta di don Scipione Marotta, si proprio quella dell'attuale Belvedere degli ulivi. Corsero tutti là, le madri con le vocule in testa, e naturalmente arrivò Arioppa col suo treppiedi ad immortalare l'evento.
Il filmato di Tammurriata nera è tratto da Paisa' di R. Rossellini.
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Mo' vene Natale
Mò vene Natale so' senza rinari/mi fumu 'na pippa e mi vau a curca'/. Quannu è stanotte ca sparanu 'e botte/ mi mettu 'u cappottu e vau a bberè/ Nuvena, nuvena ca mammeta è prena/ha fattu 'nu figliu si chiama Michè/e tene 'na figlia c'addora e tabaccu /e quannu cammina l'abballanu 'e pacche. (Quando mancano i denari è un bel problema, ma quando mancano anche a Natale è ancora peggio. A Napoli non si può comprare neanche il capitone. Può aiutare solo l'ironia e la musica e in questo i napoletani e Renato Carosone sono maestri. Questa sotto è una delle tante versioni di "Mo' vene Natale"). |
"Quannu nascette Ninnu" Quannu nascette Ninnu è il progenitore di "Tu scendi dalle stelle". Composto da S. Alfonso Maria de' Liguori e pubblicato nel 1816, divenne subito famosissimo. Ancora oggi nella sua versione originale è uno dei più conosciuti canti natalizi nel repertorio musicale internazionale. In Italia prevale la versione posteriore di "Tu scendi dalle stelle". LA CANTATA DEI PASTORI
Nella lunghissima e bella tradizione teatrale laurinese, l'appuntamento natalizio era con la secentesca "Cantata dei pastori" più o meno coeva con l'Opera di S. Lena di cui ripete gli stilemi. La Cantata rappresenta invece la Nascita del Bambino contrastata dalle forze demoniache del male. Regista e attore principale era, come al solito, "'u capubanda", Enrico Schiavo, nell' esilarante ruolo di Razzullo o di Sarchiapone. Qui sotto un pezzo della versione teatrale interpretata dal grande Peppe Barra. |
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LA LEGGENDA DEL LUPINO
In realtà la leggenda, il mito è lei, donna Concetta Barra che qui canta un antico "cuntu" della tradizione napoletana, la fuga in Egitto, rielaborato da quel grandissimo musicista che è Roberto De Simone. "L'albero di lupino non accoglie il Bambino e resterà sempre amaro, la pigna lo protegge e porterà per sempre l'odore di incenso" Betlemme se iettaje lu banne contr'a criature sott'a li dduje anne. Fuje Maria cu nu ruosse schiante lu figlie arravugliate rint'a lu mante. E li giudei nun hanne riciette a ogni mamma sbatte lu core 'mpiette. Fuje Maria e va pe' la campagna ca l'angelo da ciele t'accumpagna. Oje lloche 'nu giudeo cu 'na brutta faccia le vo' levà lu figlie da li braccia. Fuje Maria e corre senza sciate lu Bambenielle zitte e appaurate. E attuorne attuorne nun ce sta repare sule ciele scupierte e tiempe amare. Curre Maria ca viente s'avvecine curre e annascunne a Gies' Bambine. Quanne 'a Maronna perze se verette a ogni fronna 'aiute! aiute!è ricette. Frutte 'e lupine mie, frutte 'e lupine arrapete e annascunne lu mio bambino. 'Vattenne!' lu lupine rispunnette e forte forte le fronne sbattette. Lupine ca tu fuste amare assaje sempe cchiù amare addeventarraje. |
E doppe ca lu lupine se 'nzerraje Maria a n'albere 'e pigne tuzzuliaje. Frutte 'e pignuole mie, frutte 'e pignuole, arapete e annascunne lu mio figliuolo. E subbete lu pignuole s'arapette e mamma e figlie 'nzine annascunnette. Reparete reparete Maria ca li giudei so ghiute p'ata via. E doppe ca lu Bambine se salvaje cu la manella santa lu carezzaje. Pignuole tu puozz'esse beneritte ca reparaste a Die zitto zitto. Si ogge bbuone tu aviste lu core de 'ncienze sante purtarraje l'addore. E donna e lu Bambino se salvajeno 'na mane peccerella 'nce lassajeno. Pignuole tu che a Dio t'arapiste 'nce purtarraje la mane 'e Giesù Criste. |
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Dedicato a Maria Nicoletti, poetessa laurinese.
Cara Maria
Non ti conoscevo. Non ti conosco. O forse si. Chissà quante volte ti avrò vista a Laurino in un agosto qualsiasi quando come uccelli migratori, torniamo a caricare la stramaledetta nostalgia che ci portiamo appresso dovunque, dentro dovunque. Poi casualmente ti ho incontrata su un sito di questo nostro incredibile mondo cosiddetto virtuale, ma che improvvisamente si riempie di nomi e cognomi che evocano persone reali, ricostruiscono trame di memoria. E da poche righe scarne di biografia ti ho definita nei contorni, prima di tutto come donna sensibile e partecipe alle istanze della giustizia universale e della buona politica. E poi come finissima poetessa, capace di piegare la parola e il silenzio ai sentimenti che premono dalle fibre profonde dell'essere. Sono sicuro che non ti dispiacerà se mi permetto di pubblicare su laurinonelcuore due tue brevi poesie. Sono molto belle. Se mai leggerai queste righe ti dico solo che avremmo piacere di ospitare altri tuoi versi o contributi. Grazie. Bruno Durante
Cara Maria
Non ti conoscevo. Non ti conosco. O forse si. Chissà quante volte ti avrò vista a Laurino in un agosto qualsiasi quando come uccelli migratori, torniamo a caricare la stramaledetta nostalgia che ci portiamo appresso dovunque, dentro dovunque. Poi casualmente ti ho incontrata su un sito di questo nostro incredibile mondo cosiddetto virtuale, ma che improvvisamente si riempie di nomi e cognomi che evocano persone reali, ricostruiscono trame di memoria. E da poche righe scarne di biografia ti ho definita nei contorni, prima di tutto come donna sensibile e partecipe alle istanze della giustizia universale e della buona politica. E poi come finissima poetessa, capace di piegare la parola e il silenzio ai sentimenti che premono dalle fibre profonde dell'essere. Sono sicuro che non ti dispiacerà se mi permetto di pubblicare su laurinonelcuore due tue brevi poesie. Sono molto belle. Se mai leggerai queste righe ti dico solo che avremmo piacere di ospitare altri tuoi versi o contributi. Grazie. Bruno Durante
AVREI VOLUTO VIVERE
Ho alzato le braccia alla luce Ho sentito treni muti Ho visto inesplicabili punizioni Vorrei morire stringendo i pugni Lo vorrei con ogni forza Ma vorrei prima aver vissuto. Maria Nicoletti |
LA NOTTE
Vidi la luce scemare Era la prima sera Venne la prima notte E fu l'ultima. |
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In attesa dal medico mi ritorna in mente d'improvviso, per associazione di idee, questa poesia della grandissima poetessa polacca.
Wislawa Szymborska 1923 - 2012 Vestiario (da "Gente sul ponte") Ti togli, ci togliamo, vi togliete cappotti, giacche, gilè, camicette di lana, di cotone, di terital, gonne, calzoni, calze, biancheria, posando, appendendo, gettando su schienali di sedie, ante di paraventi; |
per adesso, dice il medico, nulla di serio si rivesta, riposi, faccia un viaggio, prenda nel caso, dopo pranzo, la sera, torni fra tre mesi, sei, un anno, vedi, e tu pensavi, e noi temevamo, e voi supponevate, e lui sospettava; è già ora di allacciare con mani ancora tremanti stringhe, automatici, cerniere, fibbie, cinture, bottoni, cravatte, colletti e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori -sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa riutilizzabile per protratta scadenza. PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA
1996 |
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LAURINO
Hanno rivoli giocosi i comignoli, saettano nei vicoli deserti odor di ceppi accesi. Sale gente dai campi, lentamente, alla fine del giorno, e nel suo dialogare rammenta melodie addomesticate: ora stormir di fronde o gorgoglio di fonti, ora il queruloso mormorio del vento o il garrir degli uccelli o il sonnolento transitare degli armenti. |
dilaga ovunque
l'anima del luogo: trae felci dai muri e sospende i vapori sul fiume e tra le canne è il brivido che sale a scompigliar le selve, ma è solo nel linguaggio che cerca eternità. Angela Furcas |
Omaggio a Laurino
Che a Laurino aleggiasse la felice follia della poesia era noto. Ma che contagiasse anche i laurinesi acquisiti è una felice novità. Ringraziamo per questa scoperta Angela Furcas, sarda di Iglesias che Laurino ha conosciuto da moglie di Silvio Cossa. Ma la ringraziamo, Angela, soprattutto per questi versi che ha voluto dedicare al nostro paese, nostro anche suo. Una cascata di immagini delicate e lievi, un inseguirsi di metafore che colgono davvero "l'anima del luogo" quel "Genius loci" che molto spesso anche noi laurinesi stentiamo, ormai, a interpretare. Grazie Angela! |
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Sansimione Tengu 'na casa 'nzimma 'na làvata, sulu 'nu pocu 'ncoppa li Chiaine, ppè la sagliuta re Sansimione. 'Na vota era pagliaru ccú li vuoi, se n' assetteru loro, 'nce trasemmu nuie. Quannu i' m’affacciu a la fenesta, sentu l’addore re la jenestra, e a primavera, quannu è matina attuornu, jancu, scoppa lu biancuspinu. Appena ca lu sole se ne scenne e la natura citta staj rurmennu, inta la scuru i' huardu lu cielu, e 'nu mantu re stelle face velu, ra ddà scennenu tutte capabbasciu a mmiliuni le catecatosce. Cresce la luna già chiena e lucente e tanta ricuorde me venenu 'nmente, puru la notte 'nce so' li cicale, ca vuculèjanu li suonni miei. Barbato Bruno ( da I' scrivu, cantu e sonu cume vene ) |
UN POETA_PASTORE
Barbato Bruno |